Whatever it takes 2.0
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Punti chiave in sintesi
- L'espressione "Whatever it takes" è diventata una sorta di mantra dopo la crisi dell'euro di dieci anni fa e indica una politica disposta a tutto pur di contenere una crisi e ripristinare la fiducia nell'economia.
- A nostro avviso, visti gli attuali dati sull'inflazione, ci troviamo nuovamente in un momento "whatever it takes". È tempo che la Banca centrale europea assuma una posizione chiara e torni a prendere sul serio il suo mandato della stabilità dei prezzi.
- I mercati obbligazionari preannunciano da tempo un cambio di rotta della politica monetaria e scontano già gran parte dei rialzi dei tassi d'interesse attesi.
- Inoltre, le altre grandi banche centrali, prima fra tutte la Federal Reserve statunitense, stanno dimostrando che esistono alternative. La BCE dovrà alzare i tassi d'interesse in misura significativa nelle settimane e nei mesi a venire se vuole salvare la propria credibilità.
"È ora che la BCE metta fine alla politica monetaria
degli ultimi dieci anni e inizi ad
adottare misure coerenti e credibili per contenere l'inflazione."
Dr. Volker Schmidt
"Nell'ambito del nostro mandato, la BCE è pronta a fare tutto il necessario per preservare l'euro. E credetemi, sarà sufficiente." – Mario Draghi, intervento alla Global investment conference di Londra.
Sono passati circa dieci anni da quando, il 26 luglio 2012, l'allora presidente della Banca centrale europea e attuale campo del governo italiano pronunciò queste famose parole che avrebbero dato una svolta alla crisi dell'euro. In quel periodo, i paesi dell'Europa meridionale come Grecia, Italia, Spagna e Portogallo erano afflitti da enormi problemi di rifinanziamento a causa di deficit delle partite correnti persistentemente elevati, dell'andamento del debito pubblico nel periodo precedente la crisi finanziaria e dell'eliminazione dei meccanismi di cambio dovuta all'Unione monetaria europea. Nel giro di pochissimo tempo, i rendimenti dei titoli di Stato italiani a 10 anni schizzarono oltre il 6%. Solo il coraggioso intervento delle autorità politiche e della Banca centrale europea - al centro del quale ci fu l'annuncio del presidente della BCE Mario Draghi, nel settembre 2012, di voler acquistare quantità illimitate di titoli governativi degli Stati dell'UE - riuscì a frenare il massiccio aumento dei rendimenti dei titoli dei paesi del Sud e a stabilizzare l'economia dell'area dell'euro.
Da allora, l'espressione "whatever it takes" (che in italiano può essere tradotta con "costi quel che costi") è diventata una sorta di mantra e designa una politica disposta a tutto pur di contenere una crisi e ripristinare la fiducia nell'economia e dei cittadini. Gli attuali dati sull'inflazione mostrano che ci troviamo in un momento "whatever it takes": con un aumento dei prezzi del 7,9% in Germania a giugno, gli economisti prevedono un'inflazione media del 6,8% nell'area euro per l'intero 2022 e un'inflazione in rallentamento ma ancora elevata nel 2023 a causa degli effetti di base. In questo contesto, le dichiarazioni rilasciate nel novembre 2021 da Isabel Schnabel, membro del Consiglio direttivo della BCE, secondo cui non c'erano segnali indicanti che l'aumento dei prezzi stava sfuggendo di mano e che l'inflazione aveva probabilmente raggiunto il picco, sembrano fuori dal tempo. A suo avviso, nel 2022 l'inflazione sarebbe addirittura potuta scendere nuovamente al di sotto dell'obiettivo del 2%.
Naturalmente è difficile fare previsioni nell'attuale contesto economico. La crisi ucraina, le misure contro il Covid-19 e le strozzature lungo le catene di approvvigionamento rappresentano un mix difficilmente prevedibile di variabili in costante evoluzione e il desiderio di non spegnere subito la timida ripresa economica dell'area euro dopo la crisi sanitaria è più che comprensibile. Tuttavia, tassi d'interesse di riferimento pari al -0,5% non sono più graditi ad ampie fasce della popolazione visto l'attuale andamento dell'inflazione e, nel peggiore dei casi, determineranno una notevole perdita di fiducia e spaccature sociali. Gli errori di previsione sono umani, nessuno ha la sfera di cristallo con cui anticipare con precisione gli sviluppi futuri. Per questo è ancora più importante ammettere gli errori e adattarsi alle nuove circostanze. Ciò implica anche assumere una chiara posizione di politica monetaria e tornare a prendere sul serio il mandato di stabilità dei prezzi.
La Banca nazionale svizzera (BNS) ha recentemente dimostrato che esistono alternative. Giovedì scorso, l'autorità monetaria elvetica ha infatti aumentato a sorpresa il tasso d'interesse di riferimento dello 0,5% portandolo a -0,25%, in risposta ad un tasso d'inflazione che a maggio aveva raggiunto il massimo da quattordici anni ma che, al 2,9%, resta nettamente inferiore a quello dei vicini paesi europei. L'aumento a sorpresa del tasso di riferimento non deve essere visto solo come una risposta alla svolta della politica monetaria negli Stati Uniti. Con questa mossa, l'istituto centrale svizzero anticipa anche la Banca centrale europea, che probabilmente annuncerà un primo rialzo dei tassi dello 0,25% nella prossima riunione di luglio. Se la BNS non avesse alzato i tassi, il franco svizzero si sarebbe probabilmente svalutato in misura significativa, alimentando ulteriormente le pressioni inflazionistiche con l'aumento dei prezzi delle importazioni. Per sottolineare ulteriormente la posizione della BNS, il presidente dell'istituto, Thomas Jordan, ha indicato che in futuro continuerà a monitorare l'andamento dei mercati dei cambi e, se necessario, interverrà vendendo titoli di Stato dell'area euro, Bund in primis, al fine di rafforzare il franco svizzero.
Ciò dimostra che la svolta di politica monetaria è arrivata. La Federal Reserve statunitense ha recentemente innalzato dello 0,75% l'intervallo obiettivo per il tasso sui federal funds, ora compreso tra l'1,50% e l'1,75%, la Bank of England (BoE) ha aumentato per la quinta volta consecutiva il tasso d'interesse di riferimento dello 0,25% portandolo all'1,25% nonostante i crescenti timori di recessione e persino la banca centrale svizzera ha aumentato a sorpresa i tassi d'interesse dello 0,5% nonostante livelli d'inflazione a una sola cifra. Solo la Banca centrale europea sembra paralizzata e continua ad aderire alla sua politica di tassi d'interesse bassi. In ogni caso, l'istituto di Francoforte non potrà esimersi dall'intraprendere un nuovo corso. La banca centrale d'oltreoceano è troppo influente perché la BCE possa opporsi alla sua politica monetaria, rischiare una svalutazione dell'euro e, nella peggiore delle ipotesi, alimentare ulteriormente l'inflazione.
Come è noto, in borsa si scambia il futuro, e questo vale tanto per i mercati obbligazionari quanto per quelli azionari. I rendimenti dei titoli di Stato a 2 anni si sono dimostrati un valido indicatore delle aspettative degli investitori sull'andamento dei tassi di interesse. In passato si sono rivelati una misura affidabile del tasso sui depositi della Banca centrale europea (Figura 1). Allo stesso tempo, il grafico mostra chiaramente che da marzo di quest'anno i rendimenti dei titoli di Stato e il tasso d'interesse di riferimento si sono fortemente sganciati l'uno dall'altro (buono del Tesoro tedesco 0,86%, tasso sui depositi della BCE -0,5%). Il mercato prevede quindi almeno cinque rialzi dei tassi, per un totale di ben l'1,25%. Riteniamo addirittura che ciò non sarà sufficiente e che nel corso del prossimo anno la Banca centrale europea dovrà portare il tasso di riferimento ben oltre la soglia dell'1,5%, in direzione del 2%, al fine di contrastare un ulteriore deprezzamento dell'euro, come sopra descritto. Vediamo pertanto il potenziale di un ulteriore aumento dei rendimenti a breve termine (calo dei prezzi delle obbligazioni) e abbiamo posizionato i nostri portafogli di conseguenza vendendo futures sui tassi d'interesse in euro (Ethna-AKTIV e Ethna-DEFENSIV).
Grafico: andamento dei rendimenti dei titoli di Stato a 2 anni e del tasso d'interesse di riferimento
È ora che la BCE metta fine alla politica monetaria degli ultimi dieci anni e inizi ad adottare misure coerenti e credibili per contenere l'inflazione. Gli strumenti più importanti nell'arsenale di una banca centrale non sono gli acquisti di obbligazioni o i tassi d'interesse di riferimento, bensì l'integrità e la credibilità. La BCE ha perso buona parte di entrambe negli ultimi anni, ma è ancora in tempo per riconquistare la fiducia dei cittadini. Ciò richiede una consistente svolta di politica monetaria, un momento "whatever it takes".
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