Mutualismo, ovvero il rischio di intrattenere strette relazioni
"Bisogna accogliere il cambiamento: è l'unica costante della vita", disse un filosofo greco circa 2500 anni fa. Questo adagio ha trovato conferma nei primi anni di questo secolo, quando si sono osservati significativi cambiamenti che hanno profondamente alterato il mondo conosciuto, il comportamento degli individui e le modalità in base alle quali banche centrali e governi reagiscono a shock negativi. Tra questi figurano la rivoluzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, il riscaldamento globale e la crisi finanziaria globale. Ma quali possono essere le implicazioni di questi mutamenti per quanto riguarda le reazioni delle politiche a una prossima recessione? È possibile che il ruolo finora svolto da politica monetaria e tassi d'interesse sia ora assunto da politica fiscale e tassi di cambio?
Le conseguenze dei cambiamenti
La crisi finanziaria globale (CFG), e l'entità e la portata senza precedenti delle risposte della politica monetaria e fiscale a tale crisi, hanno cambiato il modo in cui concepiamo il funzionamento delle economie e gli interventi necessari per evitare una recessione. Dal momento che, dopo la CFG, il sistema finanziario non è crollato e l'economia mondiale non è precipitata in una seconda grande depressione, possiamo concludere che le misure intraprese sono state opportune ed efficaci.
Per rimettere in carreggiata le economie è stato necessario implementare politiche monetarie e fiscali su larga scala. Ora, a distanza di anni dallo shock, le economie si espandono a ritmi da modesti a moderati, beneficiando ancora di condizioni monetarie accomodanti. Tuttavia, alcune delle convinzioni centrali circa il funzionamento delle economie cominciano a non stare più in piedi, indicando che la situazione è radicalmente cambiata. Questa è la nuova normalità. Ad esempio, il rapporto tra l'output gap e l'inflazione, la cosiddetta Curva di Phillips, ovvero l'assunto centrale della politica monetaria, viene ora messo in discussione, data la crescita solo modesta dei salari malgrado la piena occupazione negli Stati Uniti.
Questa nuova normalità è caratterizzata da crescita debole e bassa produttività, inflazione e tassi d'interesse contenuti, ingenti bilanci delle banche centrali e debito pubblico elevato. A maggio, l'economia statunitense è entrata nel suo 106° mese di espansione. Si tratta della seconda fase più lunga di espansione registrata dal 1854 (il record assoluto è di 120 mesi). Sebbene la durata non fornisca necessariamente indicazioni sull'approssimarsi o meno della fine del ciclo economico, e pur ritenendo che questo ciclo potrebbe battere il record di longevità, riteniamo ciò nondimeno opportuno esaminare le possibili risposte politiche a una prossima recessione.
In un articolo apparso ad aprile sul Wall Street Journal¹, Eric Rosengren, presidente della Fed di Boston, ha suonato un campanello di allarme. In sostanza, l'articolo afferma che, in ambito fiscale, le misure di stimolo messe in atto da Trump hanno ridotto lo spazio di manovra del governo per quanto riguarda la riduzione delle imposte o l'aumento della spesa federale al fine di combattere un'eventuale debolezza dell'economia. Rosengren afferma inoltre che, dati i mutamenti avvenuti nell'economia, la Fed non sarà probabilmente in grado di alzare i tassi come ha fatto in passato e disporrà pertanto di minori margini per ridurli qualora ciò dovesse rendersi necessario. In un'intervista di non troppo tempo fa, Larry Summers, docente universitario ed ex segretario al Tesoro statunitense, ha affermato che "nei prossimi anni, dopo che avremo esaurito le nostre munizioni monetarie e fiscali, si verificherà una recessione che, trovandoci sguarniti, potrebbe protrarsi per un periodo più lungo del consueto"².
In fasi di contrazione economica, la Fed era solita tagliare i tassi d'interesse di almeno il 5%. Tali tassi si collocano al momento all'1,75% e non dovrebbero superare il 3% nel lungo periodo; secondo il "dot plot" della Fed, il tasso sui Fed Fund rimarrà probabilmente troppo basso per consentire il consueto taglio del 5%. Forward guidance, quantitative easing e altri strumenti non convenzionali si affiancheranno a tagli di modesta entità, ma non crediamo che saranno sufficienti a sostenere il ciclo economico.
Mutualismo
Alla risposta della politica monetaria si affiancherà probabilmente una risposta fiscale. Ma anche in questo ambito, le politiche governative avranno un margine di manovra limitato. Quando i tassi d'interesse sono troppo alti, i governi non possono permettersi stimoli fiscali finanziati dal debito. Questo è esattamente ciò che è avvenuto nella periferia dell'Eurozona solo pochi anni fa e potrebbe ripetersi nei prossimi mesi se la crisi italiana peggiorerà.
La CFG illustra ciò che probabilmente avverrà durante la prossima recessione. Dopo il crollo della Lehman, quando è divenuto chiaro che le misure della politica monetaria, da sole, non sarebbero bastate a far ripartire la crescita economica e a stabilizzare il sistema finanziario, tra le banche centrali e i governi si è rapidamente instaurata una collaborazione de facto di natura pragmatica, volta a fermare la contrazione dell'economia e non concepita per promuovere un avvicinamento istituzionale.
Dieci anni dopo, la relazione tra le banche centrali e i governi si è rafforzata e i rispettivi destini sono ora intrecciati. In un contesto di crescita debole e di inflazione contenuta, governi altamente indebitati necessitano di tassi d'interesse bassi per assicurare la sostenibilità del debito pubblico. Allo stesso tempo, per le banche centrali è molto importante che il debito pubblico sia sostenibile, dal momento che i titoli di Stato rappresentano gli attivi "privi di rischio" che il sistema bancario è tenuto a detenere per soddisfare i requisiti di adeguatezza del patrimonio bancario, gli stress test dei bilanci e il rischio di liquidità del mercato (Basilea 3). La sostenibilità del debito, quindi, costituisce un importante fattore di stabilità per il sistema bancario. Durante la prossima recessione, gli istituti centrali non saranno in grado di ridurre i tassi d'interesse come hanno fatto in passato e dovranno quindi affidarsi allo stimolo fiscale dei governi per superare i propri limiti. Inoltre, nella prossima fase di ripresa, il debito dei governi sarà nuovamente aumentato, per cui le banche centrali dovranno mantenere i tassi d'interesse su livelli compatibili con la sostenibilità del debito.
La collaborazione si è gradualmente trasformata in mutualismo, una relazione che avvantaggia entrambe le istituzioni. Il pericolo è che l'una non possa vivere senza l'altra.
L'esempio più sviluppato di mutualismo si rileva in Giappone, dove la banca centrale garantisce espressamente che il governo può emettere obbligazioni allo 0% per un periodo fino a 10 anni. Nell'Eurozona e negli Stati Uniti non sussiste alcun impegno ufficiale che consenta ai governi di indebitarsi gratuitamente. Sarebbe tuttavia assurdo che la BCE e la Fed non tenessero sotto controllo il livello dei tassi d'interesse in relazione alla sostenibilità del debito pubblico. "Nell'ambito del suo mandato, la BCE è pronta a salvaguardare l'euro con ogni mezzo", ha affermato Mario Draghi nell'estate 2012, durante le ore più buie della crisi dell'euro. Se tale programma mirava anche a riportare l'inflazione al suo livello target (il mandato della BCE), il primo obiettivo di Draghi era scongiurare una crisi del debito pubblico e il crollo dell'Eurozona. Ora che l'Italia è tornata alla ribalta delle cronache, la domanda che si pongono gli investitori è fino a che punto debbano salire i rendimenti italiani perché si abbia un nuovo intervento della BCE.
Fino a che livello possono arrivare i tassi d'interesse?
La questione è fino a dove possano giungere i tassi d'interesse senza che il debito pubblico ne sia minacciato. La nostra definizione di sostenibilità del debito è la seguente: il debito è sostenibile fintanto che i rendimenti degli investimenti in dollari sono maggiori del costo del debito (interesse) pagato in dollari. In altre parole, il rendimento di un progetto deve quanto meno coprire i suoi costi. I governi hanno diversi obiettivi, e dunque progetti. Non tutti sono di natura economica, ma riteniamo che il PIL costituisca un parametro valido per misurare il rendimento complessivo degli investimenti pubblici. Il debito pubblico è generalmente misurato come percentuale del PIL. Un PIL elevato significa bassa disoccupazione e quindi stabilità politica. Significa anche potere internazionale (di negoziazione e militare), giacché il potere economico viene misurato in base al PIL. Seguendo questa logica, il rendimento di un governo può essere grosso modo equiparato alla crescita del PIL e i costi sono i pagamenti dei tassi d'interesse sul debito pubblico. Se i pagamenti degli interessi sono superiori alla crescita, il rendimento sociale non è sufficiente a coprire i costi di finanziamento, rendendo l'operazione insostenibile.
Il tasso d'interesse massimo sostenibile che un governo può permettersi dipende da crescita, inflazione e indebitamento. Nei nostri calcoli basati sui dati OCSE, ipotizziamo che i governi esibiscano un saldo fiscale primario, ossia né espansivo né restrittivo. Questa è un'ipotesi "eroica", in quanto la storia ci ha insegnato che il disavanzo primario costituisce la norma. Secondo le nostre stime, i tassi d'interesse massimi sostenibili si attestano tra il 4,8% e il 6,1% per la Germania, tra il 3,3% e il 4,0% per gli Stati Uniti, tra lo 0,6% e l'1,5% per l'Italia e tra lo 0,1% e lo 0,3% per il Giappone. Riportiamo intervalli piuttosto che singole stime per ogni paese perché per il nostro calcolo utilizziamo sia la crescita effettiva che quella potenziale. Infine, tali cifre divengono più significative se le si considerano indicative dei rendimenti dei titoli di Stato decennali.
Di conseguenza, movimenti dei tassi d'interesse tanto al rialzo quanto al ribasso sono limitati. Per le banche centrali, il limite inferiore è generalmente lo 0%, mentre per i governi il limite superiore varia dallo 0% in Giappone al 4% negli Stati Uniti. Nell'Eurozona, nel migliore dei casi tale cifra si attesta all'1,5%, giacché il tasso massimo sostenibile privo di rischio non è definito dalla Germania bensì dall'Italia, che rappresenta il rischio principale per l'intera regione. Alla data della redazione, il rendimento dei titoli decennali italiani era pari al 3,0% circa, ossia il doppio della nostra migliore stima di tasso massimo sostenibile. Ciò non solo indica che l'Italia è sottoposta a pressioni, ma che l'Eurozona nel suo insieme è entrata in un'area pericolosa. È tuttavia troppo presto per concludere che è cominciata una seconda crisi dell'euro.
Il tipo di politica monetaria perseguita negli ultimi decenni non esiste più. Le banche centrali non sono più in grado di sostenere da sole il ciclo economico. La politica fiscale è tornata in auge, anche se solo nella misura consentita dai tassi d'interesse.
Il mutualismo porta alla simbiosi se ognuna delle parti segue le regole. Se le banche centrali vengono poste sotto il controllo dello Stato perdendo così la propria indipendenza, è probabile che si giunga alla monetizzazione del debito e all'inflazione, come è avvenuto qualche decennio fa. Se invece le banche centrali continueranno a fissare i tassi d'interesse in conformità con il loro mandato, saranno loro a definire la politica fiscale.
L'impatto delle curve dei rendimenti controllate sui tassi di cambio
Infine, se fossero controllati, i tassi d'interesse non rifletterebbero più i fondamentali economici ma svolgerebbero piuttosto una funzione di mediazione tra le politiche monetarie e fiscali. I rendimenti giapponesi sono fissati dalla Banca del Giappone (BoJ) allo 0% circa fino a una scadenza di 10 anni. Fissare i tassi d'interesse allo 0% nei primi 10 anni di durata significa rimuovere completamente le informazioni fornite dal rendimento. Quest'ultimo non riflette più le aspettative di crescita e d'inflazione degli investitori ma consente al Giappone di esibire il più ampio disavanzo fiscale (5% del PIL) e di sostenere il più ingente debito pubblico (224% del PIL) del mondo sviluppato.
Il controllo delle curve dei rendimenti priverebbe gli investitori di una preziosa bussola e le economie di una variabile chiave per effettuare adeguamenti. È ad esempio ben noto che la configurazione della curva dei rendimenti fornisce un indicatore affidabile dell'imminenza o meno di una recessione. In Giappone, la BoJ interviene sulla curva rendendola piatta o, in parole semplici, facendo sì che essa non fornisca alcuna indicazione sul futuro, non essendo né normale, il che segnalerebbe crescita e/o inflazione, né invertita, nel qual caso indicherebbe una recessione e/o deflazione. Nell'attuale quadro, la curva dei rendimenti dei titoli di Stato non può più essere usata efficacemente per valutare altre classi di attivi o per reagire al mutamento delle condizioni e del livello di rischio dell'economia domestica nell'ambito di un'unione monetaria, per fare solo alcuni esempi. Ignorare la realtà non la rende meno reale. In questo contesto, riteniamo che i tassi di cambio svolgeranno un ruolo sempre più importante quale espressione delle differenze tra i fondamentali economici e quale strumento di adeguamento.
Nel caso del Giappone, lo yen è una delle valute più sottovalutate del mondo sviluppato, se non la più sottovalutata in assoluto. Tale esempio mostra che, in un mondo che trae informazioni dalla curva dei rendimenti, si registrano enormi adeguamenti valutari. L'elevato premio al rischio associato ad alti livelli di debito pubblico e di disavanzo fiscale, generalmente incorporato nella curva dei rendimenti, è invece scontato nella valuta giapponese. Stando alle stime di fair value, lo yen è sottovalutato del 20%-30% rispetto al dollaro statunitense.
Conclusioni
Che John Maynard Keynes l'abbia o meno realmente formulata, la domanda retorica "When events change, I change my mind. What do you do, Sir?" ("Quando le circostanze cambiano, cambiano anche le mie opinioni. Questo vale anche per Lei?") conserva ancora oggi tutta la sua rilevanza. Il mondo è profondamente cambiato negli ultimi 15 anni e le risposte politiche future muteranno con l'evolversi della situazione. Nell'attuale contesto economico di crescita modesta, bassa produttività, inflazione e tassi d'interesse contenuti, ingenti bilanci delle banche centrali ed elevato debito pubblico, è emersa una stretta collaborazione tra la politica fiscale e quella monetaria. Definiamo questa collaborazione mutualismo.
Il mutualismo fa forte affidamento sul controllo delle curve dei rendimenti, e la diretta conseguenza è la perdita per gli investitori di una preziosa bussola e per le economie di una variabile cruciale di adeguamento. Ignorare la realtà non la rende meno reale. In questo contesto, riteniamo che i tassi di cambio svolgeranno un ruolo sempre più importante quale espressione delle differenze tra i fondamentali economici e quale strumento di adeguamento.
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